Gestire una impresa, vuol dire confrontarsi con un imprecisato numero di trade off al fine di definire in primis gli obbiettivi di breve e di lungo termine e inoltre i mezzi utilizzati per il raggiungimento di tali obbiettivi. Occorre poi definire i meccanismi di funzionamento interni al fine di creare le condizioni affinché gli individui componenti l’organizzazione aziendale possano lavorare in un ambiente quanto più possibile coeso e che consenta ai singoli di poter operare nelle migliori condizioni ambientali. Altro compito del gestore d’impresa è quello di rendere sostenibili nel tempo gli obbiettivi di medio/lungo termine definiti dalla corporate strategy, ergo occorre anche determinare un adeguato sistema di misurazione degli stessi.
Il CEO, con il suo executive team, esercita le sue scelte:
- in tema di risorse umane, al fine di determinare l’insieme delle unità lavorative che devono saper creare valore per l’impresa e per il cliente;
- in tema di risorse finanziare, al fine di costruire un appropriato sistema di budget e controllo dei flussi;
- in tema di risorse fisiche, definendo in tal modo l’insieme di beni materiali e strumentali dell’impresa;
- in tema di produttività, mettendo a punto i meccanismi e le strutture sistemiche con cui l’impresa attua i propri processi;
- in tema di marketing, cercando di identificare attraverso la ricerca i bisogni della clientela e quindi definendo una offerta adeguata;
- in tema di innovazione, riferita al prodotto e al processo e intesa come il motore di un vantaggio competitivo sostenibile;
- in tema di responsabilità sociale dell’impresa, ovvero definendo la strategia di massimizzazione del profitto all’interno del perimetro imposto dalla legge e dalle regole di mercato e tendendo ben presente il concetto multidimensionale di economia sostenibile legato ai valori etici, ecologici e alla considerazione paritetica dei diversi stakeholder dell’impresa;
- in tema di profitto, che è il vero limite, in quanto l’impresa non reddituale non ha le risorse necessarie per sviluppare i temi sin qui menzionati.
Questo insieme di obiettivi e intendimenti strategici compongono la strategia intenzionale del CEO, che la si può definire quindi come l’evoluzione ultima del processo decisionale del top management.
Le fasi del processo decisionale possono essere declinate in differenti passaggi critici successivi, il primo dei quali richiede di definire lo scenario, ovvero se da un lato il problem solving assume la conoscenza del problema, dall’altro la soluzione di esso, non di rado può coprire un range di alternative ognuna con un profilo di rischio diverso e nessuna in grado di risolvere in toto l’entità del problema stesso. Occorre quindi definire uno perimetro di soluzioni possibili tale da garantire il miglior scenario sotto il profilo dell’efficenza e dell’efficacia. Il secondo passaggio del processo decisionale riguarda la definizione degli elementi di criticità attraverso la conoscenza dei fatti che occorre sia quanto più ampia possibile. L’homo economicus, in quanto tale è dotato di conoscenza imperfetta e la decisione comporta dei rischi che sono inversamente proporzionali al livello di conoscenza. Ergo, conoscere il livello di conoscenza dei fatti di cui si dispone, significa in concreto determinare quali sono le possibili alternative e il loro significato determinandone i vantaggi e gli svantaggi, i guadagni potenziali, i rischi, le spese, gli sforzi, l’impatto e la tempistica. Solo dopo un attenta disamina dei fatti, si può essere in grado di scegliere razionalmente. Fatta la scelta, si arriva al terzo e ultimo passaggio del processo decisionale che prevede che ad una scelta faccia seguito una azione, il manager non può essere interessato alla mera conoscenza della soluzione se poi non si concretizza in uno o più atti concreti.
L’impresa è l’oggetto specifico del manager, il suo specifico interesse e la sua specifica responsabilità che deve essere adeguata alle esigenze del processo decisionale. Il CEO prende le sue decisioni su tre differenti macro-livelli interni all’impresa che la attraversano pur senza contenerla nella sua interezza. Il primo livello è quello fisico, ovvero l’impresa esiste a livello fisico come un aggregato organizzato di beni materiali strumentali all’attività quali: impianti, macchine, utensili, materiali, ecc. Il secondo livello è quello economico, ovvero l’impresa è anche un insieme di valori economici (merci) per fini economici (produzione, profitto). Il terzo livello è quello relativo alle risorse umane ovvero l’impresa è un insieme di individui componenti la struttura organizzativa per perseguire scopi comuni e individuali.
Ognuno di questi tre livelli contiene a sua volta tre livelli interni:
(1) le imprese devono soddisfare requisiti sia interni che esterni ovvero riferiti all’ambiente ove esse operano;
(2) le azioni e le decisioni in azienda devono essere dirette a dare un contributo ai risultati reddituali complessivi,
(3) l’impresa vive sempre e contemporaneamente in almeno due dimensioni temporali: il breve periodo e il lungo periodo. Il manager deve quindi saper armonizzare le esigenze delle due dimensioni temporali.
In questo scenario di differenti livelli che attraversano l’impresa, il fine ultimo del processi decisionale del CEO è quello di raggiungere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza e rendere lo stesso quanto più sostenibile nel tempo.
Il vantaggio competitivo deve essere costruito sulla base delle competenze interne. Il management di una impresa, all’interno della propria strategia, deve essere in grado di sviluppare capacità proprie, sviluppando all’interno delle principali aree funzionali le competenze distintive ovvero difficili da imitare per i concorrenti e relazionando tali tipologie di competenze con i prodotti/servizi offerti. In tale contesto, la capacità organizzativa, intesa come capacità dell’impresa di saper standardizzare il proprio processo produttivo di trasformazione degli input in output esaltando le economie di specializzazione secondo criteri di efficienza, gioca un ruolo importante nel raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Sviluppare tali capacità, significa sia integrare al meglio le conoscenze e le competenze dei singoli al fine di ottenere la corretta combinazione tra risorse tangibili ed intangibili, che correlare le conoscenze, le competenze e le risorse dell’azienda alle esigenze del mercato attraverso processi di marketing adeguati, poiché solo quando il consumatore riconosce un elevato segno di valore all’offerta proposta, l’efficienza non rimane fine a se stessa ma si traduce in efficacia completando un percorso virtuoso che si concretizza nel raggiungimento di un vantaggio competitivo concreto e sostenibile nel tempo.
In conclusione, credo si possa affermare che se il processo decisionale può essere considerato l’asse portante per la costruzione di una buona strategia, quest’ultima, per assicurare un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, deve potersi coniugare con una buona gestione della dinamica strategica e dell’operatività intesa come strumento atto a colmare il gap tra quanto previsto dalla strategia a livello corporate e la situazione corrente. Tutto ciò avviene attraverso la costruzione di un team di vertice competente e coeso, capace di comunicare la strategia, di progettare una struttura organizzativa coerente, di definire un processo di posizionamento di mercato adeguato e infine capace di affermare il tema dell’efficienza e dell’efficacia come valori portanti di qualsiasi impresa reddituale.
Chiaro ed efficace.Non tesi teoriche ma sintesi convincenti di esperienze vissute sul campo